Omelia della V Domenica di Quaresima

Il Vangelo di oggi in questa ultima Domenica di Quaresima, ci presenta un gruppo di persone che porta da Gesù una donna scoperta in flagrante adulterio. Le spettava la lapidazione, e visto che Gesù parlava di perdono, di amore, gli domandarono cosa avesse da dire circa la disposizione di Mosè di dare la morte alla donna (anche per l’uomo adultero valeva la stessa cosa: Lv 20,10). La risposta Gesù non la dà, comprendendo bene il trabocchetto tesogli: se avesse detto di non eseguire la lapidazione lo avrebbero accusato di essere contro la Legge, se avesse detto di lapidarla lo avrebbero accusato di essere in contraddizione con il suo messaggio di misericordia. Nella sua saggezza che proviene da Lui stesso inteso come Dio, non espresse dunque nessuna parola, ma non rinunciò ad insegnare. Si mise a scrivere sul pavimento del cortile del tempio, indubbiamente sfruttando un velo di sabbia depositato dal vento. I suoi interlocutori pensarono che stesse tergiversando e si accanirono per avere una risposta. Ottennero solo un: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra”. Dunque, la pietra che dava il via alla lapidazione la potevano scagliare, ma solo lo poteva fare chi era senza peccato. Poi continuò a scrivere sul pavimento. Ovviamente stava scrivendo i dieci comandamenti. Gesù in tal modo li invita ad esaminare se stessi, se proprio sono tanto osservanti della Legge da farsene così zelatori. Tutti, pian piano, se ne andarono per sfuggire all’esame di coscienza imposto da Gesù, e che ben conosceva i loro peccati, e perché no anche di adulterio, con la sola differenza che quella donna che volevano lapidare non era riuscita a farla franca. I più anziani, con una maggiore storia di peccati, se ne vanno per primi. Se ne vanno, anche forse per paura di essere smascherati da Gesù, magari – orribile solo a dirsi – con l’aiuto di Belzebul, visto che loro la pensavano in quel modo. Gli anziani se ne andarono e furono seguiti dai più giovani: tutti se ne andarono. La donna era stordita, agghiacciata, non ancora pentita; infatti se l’avesse trovata pentita Gesù le avrebbe detto: “Va in pace”. A Gesù non restò che esortarla a non peccare più, a porle di fronte che la sua azione non aveva nessuna ragion d’essere: era peccato. Nel Vecchio Testamento la pena di morte era comminata per diversi peccati: l’omicidio, la bestemmia, l’adulterio, l’omosessualità. La Legge, con queste punizioni, era praticata, ma in gran parte sotto la spinta del timore servile, cioè del timore che ha un sottoposto di fronte ad un superiore che lo può punire di fronte ad una mancanza. Gesù ha introdotto un rinnovato timor di Dio, quello fondato sul timore di dare dolore a Dio col peccato (Ef 4,30). Questo è il santo e magnifico timor di Dio, dono dello Spirito Santo, fondato sulla rivelazione della misura immisurabile dell’amore di Dio per l’uomo. Amore manifestato in Cristo. Si va a Dio, si obbedisce a Dio, non più “per forza”, ma per amore. Gesù non condannò, dunque, l’adultera alla morte, che poi divenne la sua più fervente discepola. L’istituto familiare nel Vecchio Testamento trovava sostegno nella paura di una morte di strazio per gli adulteri. L’istituto matrimoniale reggeva, certo anche per l’amore reciproco, ma molto giocava la paura della punizione. Con Cristo si è abolita la pena di morte per adulterio e l’istituto della famiglia ha trovato la sua fonte di stabilità nel sacramento nuziale. Non la paura della punizione, ma la forza di un amore lievitato dallo Spirito Santo. Questa forza deve esprimersi oggi più che mai in una società permissiva, che ben poco tutela la stabilità coniugale passando dall’estremo di una rigidità punitiva, all’estremo di una quasi irrilevanza di una separazione, di un divorzio, fino alle convivenze e alle cosiddette “famiglie allargate”, dove un figlio dovrebbe accettare di avere due padri o due madri. La società odierna non aiuta, ma ecco la forza dello Spirito Santo che agisce nel cuore dei due sposi. Ne risulta che oggi siamo in cammino verso una splendida manifestazione di quello che è il vero matrimonio cristiano. Il mondo si abbatte sulla famiglia, la vuole svisare, ma non riuscirà ad altro che a togliere gli aspetti stantii del matrimonio, e comparirà la luce vivida del matrimonio cristiano. “Aprirò anche nel deserto una strada” dice il profeta Isaia. La strada è aperta anche nel deserto di oggi; la strada è percorribile. Nella steppa metterò fiumi, dice ancora il profeta; e questi fiumi sono i sacramenti. Gli sposi cristiani sono sostenuti da tutti i sette sacramenti. Il battesimo; la cresima; il sacerdozio, che assiste alla loro celebrazione del sacramento e li sostiene, e li illumina con la Parola, la confessione, l’Eucarestia, l’unzione degli infermi, che sostiene i coniugi nei momenti difficili di una malattia dagli esisti incerti. Sostenuti dalla forza dei sette fiumi, camminando lungo la strada tracciata da Cristo, che sempre rimane ristoratrice pur nei deserti morali di oggi, molti giovani stanno preparando una nuova stagione per il matrimonio cristiano. Sono casti nel loro cammino di fidanzati, gioiosamente casti: non lo fanno per forza, ma per amore. Vogliono progettare il loro “nido”, sono gelosi di questo, non vogliono invasioni di altri. Con questo non rompono con i futuri suoceri, con i genitori, ma si affidano a ciò che sgorga vivo e nuovo dal loro cuore in Cristo. Non disdegnano aiuti, ma li vogliono dati nella carità, nel rispetto del loro cammino. Vanno amati questi fidanzati, vanno ascoltati nella loro freschezza. Non dobbiamo aspettarli al varco, cioè alla capitolazione di fronte alla durezza della vita, li dobbiamo invece aiutare a vincere perché la loro vittoria è una vittoria per tutti. Essi si preparano a vivere al meglio l’alleanza tra le generazioni, che trova nella famiglia il luogo privilegiato (i nonni, i genitori, i figli). Si preparano rimanendo uniti in Cristo, nella Chiesa. Essi hanno l’amore, e nessuna cifra di denaro può acquistare l’amore (Ct 8,7); e chi ama – due che si amano – sono più forti di tutto. Vanno aiutati questi fidanzati, questi sposi. Non bisogna invidiarli, e così subdolamente cercare di piegarli all’accumulo del denaro. Il matrimonio cristiano vive di preghiera. L’amore tra i due ha bisogno di preghiera per crescere. Preghiera viva, vera. Quante anime sono impelagate in santini, in coroncine, in preghierine, in candele. La preghiera è azione d’amore e rende l’anima come un’aquila che si libra in alto con lo sguardo fisso verso il sole. I coniugi che pregano insieme danno le ali al loro amore. Quella donna adultera forse non era precisamente una viziosa, ma una che aveva sete d’amore, di rispetto, di tenerezza. Incontrò un corteggiatore che disse di amarla, ma se l’avesse amata l’avrebbe aiutata a restare fedele. Forse incontrò uno che le baluginò l’idea che avrebbe avuto quanto desiderava: tenerezza, affetto. Ma ebbe invece tormento di coscienza. Quella donna era piena di rimorso e di vergogna, anche se il pentimento le era ancora distante, ma non posso non pensare che, dopo la risurrezione di Gesù, quella donna sia diventata cristiana, ricordando tanto amore avuto da Gesù.

Laudetur Iesus Christi. Semper Laudetur.

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